Come ogni anno, dopo l’annuncio dei cantanti in gara, comincia la parata del pianto degli esclusi.
Se
Bianca Aztei, che aveva presentato un brano scritto per lei da
Gianluca Grignani, si è limitata a postare, il giorno dopo
l’annuncio ufficiale, una foto in compagnia del patron di Rtl 102.5
Lorenzo Suraci (capo della Baraonda, di cui fa parte anche la
cantante sarda), in cui ringrazia l’amico cantautore (“Grazie
@gianlucagrignaniofficial per aver scritto una canzone meravigliosa.
Ci abbiamo provato.”), tra quelli che l’hanno presa peggio ci sono
sicuramente Pierdavide Carone e i Dear Jack.
A detta del
cantautore (l’ “orfano” di Dalla) e della band, la loro canzone
sarebbe stata esclusa perchè troppo forte, un “pugno nello
stomaco”, come hanno commentato i loro fan.
“Caramelle”
(questo il titolo del brano) parla infatti di un tema molto
scottante: la pedofilia.
E lo fa raccontando la storia di due
ragazzi, Marco e Marica, rispettivamente di 10 e 15 anni.
Appena saputo che non sarebbero saliti sul palco dell’Ariston, la decisione di postare immediatamente la canzone e di farla ascoltare ai loro fan.
Sebbene
sia sempre spiacevole un’esclusione (quest’anno sembrano aver subito
la stessa sorte anche nomi importanti come Dodi Battaglia, Dolcenera,
Lorenzo Fragola, Elodie…), c’è chi la prende bene e chi la prende
male. E spesso, far parlare della propria esclusione, è un’arma
vincente, per numero di visualizzazioni e di ascolti.
Così
Pierdavide Carone, in un’intervista al Corriere della sera, accusa il
direttore artistico Claudio Baglioni di “censura”.
«Sono molto deluso, in primis da Claudio Baglioni. Con il direttore artistico di Sanremo c’era un rapporto di stima, abbiamo anche duettato insieme. È un cantautore e mi sarei aspettato più empatia visto il tema del brano»
«È più facile dire di sì a un argomento scottante quando c’è il patrocinio di un gigante della musica. Se avessi portato “Caramelle” con una star della musica, l’avrebbero presa. So che era piaciuta, dunque il problema era in chi la presentava: è grave e anche un po’ razzista. Servono gli abiti giusti per fare i monaci?» e parla di «censura. Forse è perché sia io che i Dear Jack veniamo dai talent: al Festival puoi andare ma con cose più frivole. Per un certo establishment una canzone così va bene per un artista che le somiglia anche fisicamente, con il taglio di capelli giusto, la barba giusta… Molto triste».
Tanti i messaggi di sostegno anche da parte di diversi colleghi:
Negramaro, Giorgia, Bennato, i Nomadi, J-Ax, Ermal Meta, Elisa, i Tiromancino, Biagio Antonacci…
Che a Sanremo parlare di argomenti scomodi sia pericoloso, è fuori discussione.
Forse però è facile appellarsi ad una forbice censoria, piuttosto che ammettere che il brano qualche limite lo aveva indubbiamente.
A partire dalla sonorità, troppo simile al Meta di due anni fa (“Vietato morire”), alla metrica, piuttosto semplice, al modo in cui un tema tanto orribile viene trattato.
Il brano è la narrazione di due giornate dei protagonisti. Se ci sta che Marco, 10 anni, venga avvicinato su un pontile da un orco e si fidi di lui, risulta già più difficile comprendere come, nel 2018 (ormai 2019), una ragazza di 15 anni (sicuramente più sveglia di quanto non lo fossimo noi “grandi” alla loro età), accetti il passaggio di uno sconosciuto, senza farsi domande.
Un tema così terrificante e così importante forse necessitava di una profondità maggiore nella trattazione.
Unica frase che centra completamente l’obiettivo risulta essere questa:
Ti prego, fa’ in fretta ciò che devi fare,
Ti prego, fallo in fretta senza farmi male,
Ti giuro, non avrò niente da raccontare,
Però fa’ in fretta così torno a respirare.
Va comunque riconosciuto loro il merito di aver avuto il coraggio di trattare un tema che, ancora oggi, viene considerato troppo spesso un tabù.
Forse, a voler ben vedere, se la canzone avesse contenuto un monito a denunciare sempre ciò che accade, avrebbe potuto essere d’aiuto per tanti bambini/ragazzini vittima davvero di questi orchi spietati.